Trenta anni di Aurora
Morning is due to all A tutti è dovuto il Mattino,
To some the Night ad alcuni la Notte.
To an imperial few A solo pochi eletti
The Auroral light la luce dell'Aurora
(Emily Dickinson)
Il Prologo
Gli anni passati in Olanda erano stati difficili da digerire, sia per il clima che per l’isolamento in cui mi ero ritrovato a Delft e, non ultimo, anche a causa di una crisi personale seguita al diploma conseguito in Svizzera e all’aver ricominciato daccapo con un altro insegnante. Sigiswald mi diceva: “non ti deprimere, cerca di vedere quello che c’è al di là di tutto questo: a volte viviamo così tanto nel presente che non riusciamo ad immaginare che ci sarà un futuro e che il futuro sarà differente e probabilmente migliore, ci farà dimenticare quello che soffriamo ora”.
Feci ritorno in Italia, in una casetta alle porte di Perugia, con vista su Assisi, fatta di pietre rosa abbarbicate sul monte Subasio. Avevo trovato un antico specchio incorniciato e l’avevo appeso al centro della stanza in cui studiavo. Mi esaminavo allo specchio mentre studiavo, ma al contempo mi scrutavo dentro: dovevo ora provvedere ad essere io stesso il mio insegnante.
This is my long article on the history of the different ornamentation styles from the XVI century to the beginning of the XIX century:
nearly 120 pages of full immersion in the most various instrumental and vocal diminutions, with particular attention to those written for the violin. Including 75 plates and a 9 page long bibliography.
«PERO' CI VOLE PACIENTIA»: un excursus sull'arte della diminuzione nei secoli XVI, XVII e XVIII «per uso di chi avrà volontà di studiare», pp. 71-188, in «Regole per ben suonare e cantare»
Quaderni del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano n.s. 2/2014
Edizioni ETS, Pisa 2015
pp. 227, € 23,00
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La semplicità è una smisurata ambizione ed è l'essenza della libertà.
(Luigi Pintor)
Nato quasi per gioco da un'idea espressa fra un gruppo di amici che ne hanno costituito il comitato organizzatore, il convegno internazionale Arcomelo 2013 è stato voluto e cercato caparbiamente insieme alla città di Fusignano, che sempre si è ricordata del suo figlio Arcangelo Corelli (cosa che tengo a sottolineare, visto che ciò nel nostro paese non sempre accade). Caparbiamente è, con ogni probabilità, la parola più giusta, anche perché nell'anno tricentenario della morte di Corelli il governo italiano non ha ritenuto di dover erogare alcunché in favore di questa iniziativa culturale.
E' quindi grazie alla generosità della città di Fusignano, della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Ravenna che noi abbiamo svolto questo convegno e che possiamo mettere a disposizione di un pubblico vasto il risultato di una ricerca che tratta in modo aggiornato uno dei più importanti ed influenti compositori dei secoli XVII e XVIII e tutto il periodo in cui egli creò la sua arte.
Considero l'aver organizzato questo convegno un atto altrettanto importante per la tutela del patrimonio che l'emanazione di una legge o uno stanziamento di fondi, perché significa consegnare delle ragioni di senso alla gente per difendere i propri beni culturali. Chi fa ricerca dovrebbe utilizzare parte del proprio tempo per restituire un po' dei suoi studi a tutti i cittadini. Corelli è nostro. Corelli come Caravaggio e Bernini, così come Palestrina, Scarlatti e tanti altri sono "nostri": ognuno di noi deve sapere perché, e noi siamo chiamati a spiegarlo.
Nel 1975, all’età di 19 anni, con grande emozione iniziai la mia prima ricerca in una biblioteca ricca di antichi manoscritti musicali: avevo trovato traccia dell’esistenza di un unicum contenente fra l’altro una raccolta di 12 sonate attribuite ad Arcangelo Corelli. Il fondo antico della biblioteca del Sacro Convento di S. Francesco, ad Assisi, si trovava a quell’epoca provvisoriamente alloggiato nei locali del comune dell’ascetica cittadina umbra. Prima d’allora non avevo mai provato quell’emozione unica che ancora adesso mi coglie, ogni volta, nel momento in cui il bibliotecario cammina verso di me per consegnarmi un volume che ha traversato i secoli con alterne fortune. Per la prima volta in vita mia tenevo fra le mani un manoscritto originale del Settecento.
L’oggetto di quei miei primi studi erano le dodici Sonate da Camera del ms.177 custodito presso il Fondo Antico della Biblioteca del Sacro Convento di San Francesco di Assisi.
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Medea, melodrama by Jiří Antonín Benda [Georg Anton Benda] (Staré Benátky, 1722 - Köstritz, 1795)
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The melodrama Medea was composed by the Bohemian Georg [Jiří] Benda in 1775 on the libretto of the German poet and playwright Friedrich Wilhelm Gotter (1746-1797).
To understand the musical genre to which this work belongs we must go back to a strange experiment pondered on and carried out by Jean-Jacques Rousseau: a heteroclite experiment that obtained however an international success. After having tried with the famous Devin du village (1752) the “reconstruction of the lost paradise of musical communication”, Rousseau passed to the radical positions expressed in the Lettre sur la musique française and in the Essai sur l’origine des languages: the historical degradation of the musical language has definitely killed the singing. He imagines a spoiled opera, the only possible one, “in which words and music, instead of going together, are heard in a sequence, and in which the spoken phrase is in some way announced and prepared by the musical phrase (see the Fragments d’observations sur l’«Alceste» de M. le chevalier Gluck, written in winter 1774-1775). This opera was Pygmalion, performed for the first time in 1770 in Lyon on the music written by Horace Coignet. After the ouverture, the score of Pygmalion includes 26 instrumental pieces to be performed during the acting-pantomime of the actor. The echo raised by this experiment was really astonishing: if for Rousseau Pygmalion was intended to be a fragment of opera on the impossibility of singing, a negative if not apocalyptic experiment, it has soon been interpreted as an innovative operation, meant to found a new musical theatre finally freed from the tyranny of the operatic bel-canto conventions. In his Dictionnaire de la musique, under the word actor the philosopher declares:
It is not enough for the performer of an opera to be an excellent singer if he is not also an excellent pantomime. He also has to make it possible to hear the declamation of the symphony (that means the orchestral interventions); from his soul should raise all the feelings expressed by the orchestra. Steps, gazes and gestures must always go together with the music so that everything becomes a unity. The actor, agitated and lead by a passion that doesn’t allow him to express everything, stops with reticences and interruptions during which the orchestra talks for him. The pauses, so filled, give the actor much more than he would be able to express himself and the new combination of words and music produces effects that illustrate in a very circumscribed way feelings and events.
Il testo dell'intervento di Enrico Gatti a "Olandiamo in Veneto", Padova 19.05.2014
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Nel 1978 decisi di specializzarmi nel campo del violino barocco. La mia idea era quella di dedicare un certo periodo della mia vita a questo studio particolare, e poi riprendere a suonare anche il violino moderno per poter in seguito eseguire tutto il repertorio violinistico. Il fatto è che, intrapresi gli studi specialistici, non solo la cosa mi piacque tanto, ma sentii anche che più approfondivo questo lavoro e più le questioni emergevano e si presentavano alla mia coscienza di musicista. Così mi resi presto conto che per poter interpretare in modo veramente libero, e cioè non condizionato da mancanza di conoscenza e preparazione - elemento questo che di solito, a mio giudizio, prelude alle interpretazioni più mediocri oppure a quelle più sfrenate in senso individualista - che era necessario proseguire la specializzazione in quanto gli argomenti e le questioni si ramificavano continuamente e diventava assai complicato seguire tutti i possibili percorsi. Ci volevano insomma molta pazienza ed un tempo lunghissimo (la passione grande c'era), ma era quella in fondo la strada più corta, la più efficace: quella che non cerca le scorciatoie ma tenta di percorrere tutte le vie della ricerca.
Così mi misi in quella strada in attesa di terminare i miei studi; vi debbo quindi confessare di trovarmi un po' smarrito oggi, che mi si chiede di venire qui a parlare della musica antica in Italia quando io ancora i miei studi non li ho terminati e sto ancora perfezionandomi.
Infatti da allora non sono più stato capace di riprendere il violino contemporaneo in quanto avevo troppe cose da cercare, verificare e sperimentare nel campo di quella letteratura compresa tra la fine del XVI e l'inizio del XIX secolo.
Testo scritto nel 2010 per il booklet del CD "ON THE SHOULDERS OF GIANTS" pubblicato da Arcana nel 2014
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Poiché l’una [la filosofia] porta a compimento ogni conoscenza, e l’altra [la musica] le prepara la strada (Aristide Quintiliano)
I moderni sono come dei nani che siano montati sulle spalle dei giganti; sebbene essi abbiano così la possibilità di vedere e conoscere un maggior numero di cose rispetto agli antichi, ciò non gli deriva dalla propria statura o dall’acutezza del proprio pensiero, ma unicamente perché sollevati e portati in alto dalla gigantesca grandezza degli antichi. (Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum umeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora uidere, non utique proprii uisus acumine aut eminentia corporis, sed quia in altum subuehimur et extollimur magnitudine gigantium.)
Testo scritto nel 2011 per il CD omonimo pubblicato da Glossa nel 2013
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Alla Ven.da et Rev.ma Sig.ra mia Sing.ma Suor Marianna Teresa
Monastero di Sant'Orsola, Mantova
Mia carissima sorella, non so con quale ardire, e non certo senza imbarazzo, io possa scrivervi finalmente dopo una vita spesa in lontananza a viaggiar per le contrade tutte d’Europa con la sola compagnia del mio violino, a voi che forse oramai mi credevate morto, non avendo mai avuto notizia di me, o forse ancora mi pensavate in vita, mai avendo ricevuto avviso di mia morte.
La caducità del genere umano, per decreto divino, non possiede cosa più certa in questo mondo della morte, e più incerta dell’ora di quella. Così, volendo prevenire il colpo fatale della nemica comune, vi scrivo infine, prima che troppo tardi si faccia.
Testo della prefazione pubblicata nel 2011 nell'edizione in facsimile delle sonate di G.A.Pandolfi Mealli (Edition Walhall, Magdeburg)
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Per molti anni le sonate op.III e IV di Giovanni Antonio Pandolfi Mealli hanno trovato posto sul nostro leggio, hanno abitato i nostri concerti insieme ai tanti punti interrogativi da esse sollevavati: chi era costui, e cosa lo portò dall’Italia centrale fino in Austria, poi in Sicilia, fino a sparire completamente? Finalmente, grazie al prezioso, paziente e lungo lavoro di Fabrizio Longo, la figura di questo interessantissimo virtuoso e compositore comincia a rivelarsi nei suoi contorni concreti.
«Il y a une solitude de l'espace,
Une de la mer,
Une de la mort, mais cette
Compagnie sera
Comparée à ce point plus profond
L'isolement polaire d'une âme
Admise à la présence d'elle même -
Infini fini».
Emily Dickinson
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Testo scritto nel 1997 per il booklet della registrazione integrale delle sonate a tre op.III di Arcangelo Corelli (2 CD ARCANA A402)
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“C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio... la nostra epoca è ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità; se accelera il passo è perché vuol farci capire che ormai non aspira più ad essere ricordata; che è stanca di se stessa, disgustata di se stessa; che vuole spegnere la tremula fiammella della memoria.” (Milan Kundera)
Central Park, Manhattan, lunedì mattina
PIPPO : Che ci facciamo adesso qua? Mi sento, la mattina dopo il concerto, scosso, stravolto e scarico come un fucile sparato...
STANISLAO: E’ che i nostri corpi hanno viaggiato troppo velocemente nelle ultime ore... fermiamoci un poco; vieni, sediamoci su questa panchina: abbiamo bisogno di aspettare le nostre anime...
Testo della prefazione pubblicata nel 2007 nell'edizione in facsimile delle sonate di P.Nardini (Arnaldo Forni Editore)
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Pietro Nardini
Il violinista e compositore Pietro Nardini nacque a Livorno il 12 aprile 1722 e fin dalla più tenera età apparve dotato di grande talento musicale. Attivo in campo concertistico a partire dalla fanciullezza, compiuti gli studi musicali lo si incontra già in qualità di violinista di concertino (1741-1743) e di capo degl’instrumenti (1744) a Lucca.
Testo scritto per il booklet della registrazione delle sonate op.II di Antonio Vivaldi (CD GLOSSA GCD921202)
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– L’esilio è finito! – diceva El Conde. – Finalmente possiamo mettere in opera quel che abbiamo per tanto tempo meditato! Cosa resti a fare sugli alberi, Barone? Non c’è più motivo!
Cosimo allargò le braccia. – Io sono salito quassù prima di voi, signori, e ci resterò anche dopo!
– Vuoi ritirarti! – gridò El Conde.
– No: resistere – rispose il Barone.
[Italo Calvino, “Il barone rampante”]
Testo scritto nel 2003 per il booklet della registrazione integrale delle sonate a tre op.V di Arcangelo Corelli (2 CD ARCANA A423)
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Il primo gennaio 1700, all’alba di un nuovo secolo, vedono la luce in Roma delle sonate che porranno la pietra tombale su quello stile che molto più tardi sarà definito “barocco”: Arcangelo Corelli, che già nelle sue 4 opere di sonate in trio (da chiesa e da camera) ha ricercato la fusione dei più essenziali elementi acquisiti nel corso dei suoi proficui studi a Bologna ed a Roma, riscuotendo il plauso unanime della civiltà musicale internazionale, pubblica con una splendida e curatissima incisione in rame (non più stampa in caratteri mobili) 12 sonate “a violino e violone o cimbalo” in cui la ricerca di essenzialità e senso delle proporzioni illustrano musicalmente come meglio non si potrebbe i nuovi ideali estetici legati alla nascente Accademia d’Arcadia. Rifuggendo dalle stravaganti asimmetrie, dalle bizzarrie e dai facili effetti a sorpresa che sovente si manifestavano nelle sonate a solo degli autori tanto tedeschi quanto italiani del XVII secolo, il musicista romagnolo riesce a proporre all’Europa un nuovo modello formale puro, equilibrato, ricco di distillata sostanza musicale, e nel contempo a proseguire idealmente la linea stilistica romana, facendo proprie ed incorporando nel senso stretto del termine importanti invenzioni dei suoi illustri predecessori, fra tutti Alessandro Stradella.
Testo scritto nel 2004 per il programma di sala di un concerto con le sonate di Koethen
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Nella vita di un musicista l’opera di J.S.Bach può venire percepita e vissuta – nell’arco delle varie fasi di un’esistenza – in tante maniere differenti: dall’ammirazione totalmente incondizionata ed irrazionale dell’adolescenza che sconfina nella mitizzazione, all’apprezzamento più consapevolmente analitico di un musico che sia in età tale da potersi avvicinare alla comprensione dei tracciati contrappuntistici, dei misteri numerico-simbolici e delle griglie armoniche; dalla stanchezza e dalla ripulsa che la continua, mai attenuata, spessa profondità di questo intenso compositore, ed il suo modo di procedere sviluppando e complicando vieppiù (ma anche ripetendosi, come solo i grandi possono permettersi, appunto perché possiedono materiali e tecniche da grandi) sono in grado di ingenerare in qualche musicista che si trovi a trascorrere un periodo alla ricerca di limpida leggerezza, di linearità ed immediatezza di comunicazione e non sia in grado di sopportare più di dieci minuti consecutivi di complicazioni – che in certi momenti della vita sono anche inutili – ad un atteggiamento, che può somigliare ad una sorta d’abbandono confidente e totale che nasce e si sviluppa in seguito, figlio dell’aver vissuto proprio tutte quelle precedenti fasi, nato quando si vive quella stagione della vita che inclina (così dicono, ma sarà? – alcuni indizi inducono a dubitarne) alla maturità.