Trenta anni di Aurora
Morning is due to all A tutti è dovuto il Mattino,
To some the Night ad alcuni la Notte.
To an imperial few A solo pochi eletti
The Auroral light la luce dell'Aurora
(Emily Dickinson)
Il Prologo
Gli anni passati in Olanda erano stati difficili da digerire, sia per il clima che per l’isolamento in cui mi ero ritrovato a Delft e, non ultimo, anche a causa di una crisi personale seguita al diploma conseguito in Svizzera e all’aver ricominciato daccapo con un altro insegnante. Sigiswald mi diceva: “non ti deprimere, cerca di vedere quello che c’è al di là di tutto questo: a volte viviamo così tanto nel presente che non riusciamo ad immaginare che ci sarà un futuro e che il futuro sarà differente e probabilmente migliore, ci farà dimenticare quello che soffriamo ora”.
Feci ritorno in Italia, in una casetta alle porte di Perugia, con vista su Assisi, fatta di pietre rosa abbarbicate sul monte Subasio. Avevo trovato un antico specchio incorniciato e l’avevo appeso al centro della stanza in cui studiavo. Mi esaminavo allo specchio mentre studiavo, ma al contempo mi scrutavo dentro: dovevo ora provvedere ad essere io stesso il mio insegnante.
Non ero andato lontano dall’Italia per imparare ad imitare qualcun altro, peraltro assai diverso da me, ma per apprendere una disciplina di lavoro. Le cose che in Olanda non avevo trovato, che non ero riuscito ad esprimere, adesso pian piano cominciavano a venire. Io ne restavo come meravigliato e sorpreso, ma i frutti dell’insegnamento e dello studio hanno bisogno di sedimentazione e di una lenta maturazione. Ora mi trovavo di nuovo nel mio paese, immerso nella mia cultura, eppure mi sentivo come uno straniero che parla un’altra lingua.
Da quella casa partivo spesso alla mattina presto per andare a fare il mio lavoro, che era sempre in un altrove, soprattutto all’estero. Negli anni tra l’85 e l’86 ricordo che mi recavo spesso ad insegnare a Torino.
Non possedevo un’auto, né avevo la patente e un taxi mi recuperava al mattino presto per portarmi in stazione: mi alzavo alle cinque, cinque e mezzo, e tagliando il versante rivolto a est della collina su cui poggia Perugia mi si apriva dinanzi la vista della pianura umbra, con il Tevere nascosto fra il verde, e poi veniva il sole. Il sole nasceva proprio di fronte a me e la sua epifania mattutina era preceduta da un’ampia aura rosea: era quell’aurora dalle dita di rosa di cui al liceo classico, negli anni della gioventù, avevo studiato in greco i versi di Omero.
Io iniziavo un nuovo capitolo della mia vita, accettavo la scommessa di diffondere in giro per il mio paese la conoscenza del violino barocco e della sua sterminata letteratura seminando, quando possibile, piccoli concerti in cui quasi nessuno del pubblico conosceva i nomi dei compositori. Era tempo di fondare un nuovo ensemble, e questo gruppo avrebbe dovuto avere come riferimento di base quell’imitatione della voce humana quando che armonicamente canta di cui così tanto avevo letto nelle fonti antiche, le quali costituivano il mio continuo riferimento. Perché si può andare a cercare da tanti – bravissimi – insegnanti, ma l’estetica legata all’arte musicale dei secoli XVI, XVII e XVIII rimane per noi affidata ad una serie di innumerevoli fonti dirette ed indirette di tante diverse tipologie, tutte da esplorare. Per questa esplorazione bisogna armarsi di sana pazienza e tanto tempo perché in un lavoro simile non esistono scorciatoie se si vuol arrivare a conoscere, e la ricerca non ha per fine e per premio né la celebrità né il successo, ma solo la ricerca stessa in quanto tale.
Così è sorta Aurora, un nuovo inizio di giornata, con la promessa che ogni giorno sarebbe stato un nuovo principio – ogni mattino inizia infatti un giorno che nessuno di noi ha mai vissuto – e che non ci saremmo mai seduti su repertori comodi e rassicuranti ma che avremmo sempre cercato di seguire la nostra curiosità e di sviluppare la conoscenza e la coscienza stilistica nostra e del nostro pubblico. Un pubblico non certo costituito da enormi masse, poiché non abbiamo mai inseguito musica di facile richiamo e consumo, però un pubblico tuttavia indubbiamente scelto e cosciente, distribuito in modo vario in tutti i continenti.
Aurora è nata nell’autunno del 1986 da un piccolo gruppo di strumentisti italiani, dei quali oggi posso ritrovare qui vicino a me Guido Morini, musicista di prima grandezza e compagno di mille avventure artistiche. Con l’andare del tempo la formazione ha visto partecipare numerosi strumentisti e cantanti di tante nazionalità che, a causa dei mutamenti di varia natura cui la vita ci porta (traslochi, nascite, scelte professionali, abbandono della scena concertistica e via andare) hanno ruotato in modo vario ed alterno, prima di configurarsi in forma più stabile come gruppo di amici che periodicamente si ritrovano uniti, e che sono ancora capaci di godere nel far musica insieme, quella musica che tanto tempo fa scegliemmo come nostro principale veicolo espressivo.
Una volta usciti dall'infanzia,
occorre soffrire molto a lungo per rientrarvi,
così come proprio in fondo alla notte si ritrova un'altra aurora.
(Georges Bernanos)
La Storia
A coronamento di un progetto sognato e preparato nel corso di un lungo periodo, l’Ensemble Aurora nasce sul finire dell’estate del 1986 e nel suo primo anno di vita si consacra esclusivamente allo studio delle sonate a tre di Arcangelo Corelli, presentate in un programma antologico a Bologna, Milano e Fusignano. Fanno parte di questa prima formazione Luigi Mangiocavallo (violino), Roberto Gini (violoncello e viola da gamba), Luciano Contini (liuti) e Guido Morini (organo e cembalo). A Fusignano – patria di Corelli e sede dei convegni internazionali di ricerca musicologica sul compositore romagnolo – inizia la collaborazione con figure di calibro internazionale come quella di Pierluigi Petrobelli e della sua scuola: combinare la ricerca musicale con quella musicologica è sempre stata una caratteristica dell’ensemble che fin dall’inizio ha puntato su una preparazione rigorosa dei testi da utilizzare e dei criteri interpretativi secondo il contesto storico del repertorio prescelto, cui affiancare poi a livello esecutivo la capacità di comunicare ad un pubblico non necessariamente avvertito; tutto questo potrebbe assai sinteticamente essere riassunto dalle semplici parole: mente fredda e cuore caldo, che potrebbero costituire la spinta originaria e lo stimolo costante della nostra filosofia. Per noi gli strumenti che usiamo non sono mai più importanti dell’uso che ne facciamo: le capacità e le scelte interpretative sono sempre state la nostra chiave di lettura, che fa seguito a un imprescindibile studio a monte. A nostro modo di vedere la libertà interpretativa deve coesistere con la consapevolezza e con la responsabilità di quanto viene trasmesso al pubblico, e si incardina nella necessaria ed attuale riflessione sul rapporto tra ricerca filologica, musicologica ed estetica e prassi esecutiva. Come si può capire, insomma, a dispetto delle critiche di coloro che sono ancora contrari alle interpretazioni “storicamente informate”, la preparazione (la “filologia”) non sostituisce l’interpretazione, ma costituisce il (cospicuo) lavoro in più che noi facciamo prima di iniziare ad interpretare.
Dopo la prima incisione di Corelli – con la quale venne inaugurata la TACTUS, prima etichetta italiana dedicata alla musica antica – il gruppo si è volto alla musica italiana del primo ‘600 e l’uscita di un disco intitolato Musica al tempo di Guido Reni nel corso degli anni ha ispirato molti giovani ad avvicinarsi al repertorio più antico degli strumenti da braccio. Con un rinnovato approccio rispetto alle esecuzioni dei flautisti di scuola olandese (dei quali questo repertorio era di fatto all’epoca appannaggio) abbiamo cercato di mostrare il lato maraviglioso ed imprevedibile, ma nondimeno lirico, dell’autentico barocco italiano: il Seicento, vero universo di idee e colori. Non sono mancate le pagine inedite di musica vocale sia del XVII che del XVIII secolo come le Lamentazioni per la Settimana Santa di Alessandro Scarlatti (prima registrazione mondiale con una Cristina Miatello particolarmente ispirata ed espressiva) e cantate di Giovanni Bononcini (con Gloria Banditelli). La sterminata letteratura per violino del XVII secolo, che era ancora in massima parte inesplorata nella multiformità dei suoi mille stili, ha richiesto un lungo lavoro di selezione sulle stampe e sui manoscritti originali, e il risultato ha visto la luce in due volumi intitolati L’Arte del violino, di cui uno interamente dedicato agli autori emiliani.
Il nostro lavoro ha ben presto attratto l’attenzione dei critici specializzati che fin dai primi anni di vita dell’ensemble ci hanno ricompensati non solo con ottime recensioni ma anche con numerosi “Diapason d’or”, “Choc de la musique” ed altri premi internazionali, quali ad esempio il Premio Vivaldi della Fondazione Cini di Venezia che abbiamo conseguito varie volte.
Pur avendo chiaramente come stella polare la musica italiana, specie quella che necessitava di essere riportata in luce dopo un ingiusto oblio di secoli, non abbiamo mai voluto chiuderci in un settore troppo limitato e, oltre a programmare vari concerti dedicati alla letteratura francese (soprattutto Couperin e Leclair) abbiamo esplorato autori come Schmelzer, Biber, Rosenmüller, Haendel, Bach (cui abbiamo dedicato due dischi monografici), Haydn e Mozart.
L’ensemble si è nel tempo, e secondo le occasioni, ampliato fino a divenire una vera e propria orchestra che ha proposto i poco eseguiti concerti di F.A.Bonporti oltre ai più noti di Vivaldi, ma anche numerose pagine della grande musica vocale di Alessandro Stradella, compositore cardine del ‘600: oltre a svariate cantate, intermezzi e serenate sono stati presentati gli oratori-capolavoro La Susanna e San Giovanni Battista.
L’importante filone della sonata per violino del ‘700 italiano ha da noi ricevuto la dovuta attenzione con concerti e registrazioni dedicati a F.M.Veracini, F.Geminiani, G.Tartini e naturalmente anche al “Prete rosso”: il nostro è stato forse un Vivaldi controcorrente, tenuto conto di quelli che sono attualmente i gusti dominanti, e sia nelle sonate a tre dell’opera I che in quelle a solo dell’op. II abbiamo cercato di restituire quella ci sembrava dovesse essere la cifra di un relativamente giovane ma geniale e originale compositore veneziano ancora non immune dall’influenza delle forme corelliane.
Ad Arcangelo Corelli l’ensemble Aurora è rimasto sempre legato e a più riprese, a distanza di anni, ha continuato a tornare approfondendo il lavoro fatto inizialmente. L’incisione dell’op. III ha segnato una pietra miliare ed è stata decisamente il best-seller della nostra produzione discografica, vincendo, tra gli altri premi, il Diapason d’or de l’année nel 1998 e distinguendosi anche per il suo particolare lungo libretto che Michel Bernstein e la casa discografica Arcana hanno avuto la generosità di stampare in quattro lingue. L’anno 2003 è stato caratterizzato da una serie di concerti e dall’incisione integrale delle importanti sonate op.V, che tuttora viene considerata un punto di riferimento, mentre alcuni anni dopo, iniziata una nuova collaborazione con la prestigiosa etichetta Glossa, è stata registrata l’integrale dell’op. IV, che ha riscosso anche il Preis der Deutschen Schallplattenkritik. Il lavoro di ricerca si è sviluppato poi fino alla riscoperta di quelle che sono probabilmente da considerarsi fra le prime opere di un giovane Corelli non ancora ventenne: le 12 Sonate di Assisi, da noi riportate alla luce in concerto e successivamente incise per la prima volta nel 2013 in occasione del tricenterario della morte del compositore.
Negli anni il nostro lavoro ha fatto più volte ritorno agli amati autori del ‘600 italiano, spesso eseguiti in concerto anche con prime riprese moderne, come è stato il caso del Vespro Solenne dei Santi Confessori di Don Marco Uccellini, dei Concerti Sacri di Alessandro Scarlatti o raccolti in incisioni originali come Mille consigli, ovvero “le instabilità dell’ingegno” (vagabondaggi & passeggiamenti nell’Italia musicale del ‘600). Anche il quartetto e quintetto d’archi del periodo classico non sono mancati nel nostro repertorio, soprattutto ad illustrare l’opera sensibile di Luigi Boccherini – di cui abbiamo anche registrato in video dal vivo lo Stabat Mater con la voce di Gemma Bertagnolli – oppure per viaggi visionari tracciando legami fra il contrappunto e l’antica filosofia come nel progetto “On the Shoulders of Giants”.
Nel corso di questi trenta anni abbiamo visto mutare considerevolmente la scena della cosiddetta “musica antica”, abbiamo assistito a spericolate quanto discutibili operazioni e abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che l’arte e il mercato non sono la stessa cosa. Come la maggior parte delle persone abbiamo subìto la crisi, gli ingenti tagli alla cultura ed abbiamo dovuto fare buon viso a cattiva sorte. Ma non abbiamo mutato in nulla i princìpi che hanno ispirato il nostro lavoro e non ci siamo mai piegati all’attualità, ai trend e al sentire comune: abbiamo sempre cercato di ragionare con la nostra testa, di individuare opere musicali suscettibili di essere riportate alla luce perché valide e meritevoli di essere riascoltate, ne abbiamo ricercato le leggi interne e lo stile più appropriato prima di riproporle al pubblico di oggi.
In questo anno 2016 l’ensemble Aurora ha lavorato a due nuovi programmi inediti. Il primo – "The Fiery Genius": Estro & rigore nella musica strumentale napoletana (1650-1750), un vero caleidoscopio di colori – è interamente dedicato alla musica strumentale napoletana con la riscoperta di compositori come Marchitelli, Cailò, Avitrano, Supriani, Cotumacci e Fiorenza. Il secondo è un omaggio alla famiglia dei Bononcini, così tanto legata alla città di Modena ma anche alla vita musicale che si sviluppava nell’Europa del primo ‘700.
Ancora una volta siamo andati a toccare con mano i manoscritti antichi, le stampe originali e vi portiamo ad ascoltare musiche inaudite, attingiamo al nostro sterminato patrimonio culturale e lo rendiamo a tutti, spezziamo questo pane e ce ne nutriamo insieme a voi.
Mentre festeggiamo lietamente in musica questo felice evento io intendo ringraziare dal più profondo del cuore tutti coloro che hanno creduto e collaborato con Aurora durante l’arco di questi anni, siano essi amici, musicisti, musicologi, organizzatori, musicofili, mecenati, critici, discografici e, last but not least, voi, nostro caro pubblico: ancora una volta siamo qui a dirvi – e darvi – tutto di noi; non credo vi sia qualcosa di più bello che ascoltare con orecchie curiose e cuori aperti.
La promessa che facciamo è quella di continuare a svolgere il nostro lavoro, che nasce proprio dalla nostra passione, che continuerà anche domani. Perché domani vi saranno un nuovo mattino ed una nuova aurora da vivere.
Vivete felici
Enrico Gatti